Coronavirus cinese: salute pubblica, poco o troppo?

Mentre il coronavirus continua a mietere vittime (in Cina siamo a 563 mentre scriviamo), le autorità di Wuhan avvertono che il sistema di contenimento comincia a incrinarsi per la scarsità di materiali ed equipaggiamento, sulla nave giapponese in quarantena al largo di Yokohama si registrano 10 nuovi casi e il governo di Tokyo paventa l’ipotesi che il virus possa affossare i prossimi Giochi Olimpici, si comincia a guardare al virus anche dal punto di vista delle strategie di comunicazione e di informazione.

“L’epidemia e la risposta al 2019-nCoV sono state accompagnate da una massiccia infodemia – una sovrabbondanza di informazioni – alcune accurate e altre no – che rendono difficile per le persone trovare fonti affidabili quando ne hanno bisogno.” Così l’Oms in uno dei suoi ultimi report riassume la piaga del sovraccarico di notizie ed ipotesi, virtualmente inevitabile ai tempi di internet e dei social network, che può generare, e genera, disorientamento e falsi miti tra la popolazione.  Di fronte a questo corto circuito informativo sul nuovo coronavirus che imperversa in Cina, mostrando per l’ennesima volta al mondo a quali rischi è potenzialmente esposto in caso di epidemie, l’Oms ha deciso di mettere al lavoro i suoi team di comunicazione per rintracciare e rispondere alle leggende e alle voci che si stanno diffondendo sul virus a livello globale. Un lavoro necessario (ovviamente basato sulle evidenze) per sgombrare un po’ il campo  dalle informazioni pericolose per l’opinione pubblica che l’Oms sta rendendo disponibili sui suoi canali social (inclusi Twitter, Facebook, Instagram, LinkedIn, Pinterest) e sul sito istituzionale.

Nella campagna social, che sfrutta ovviamente la forza di penetrazione delle immagini e dei video, si conta una lista base delle cose da fare per proteggersi dal nuovo virus, l’immancabile sezione Q&A, una pagina myths-buster dedicata a vivisezionare i falsi miti più diffusi in Rete (dal virus che viaggia con i pacchi dalla Cina alla profilassi a base d’aglio), e poi le raccomandazioni per i viaggiatori e una guida “tecnica” riservata ai clinici.

Anche la copertura dell’epidemia da parte dei media ha raggiunto livelli senza precedenti per un allerta sanitario. Nel Regno Unito il Guardian ha una sezione nel sito con aggiornamenti al minuto sulle news, un apparato di guide per il pubblico simile a quello dell’Oms, articoli di approfondimento e commento. Un livello così alto di attenzione in Occidente stride con l’atteggiamento inizialmente omertoso del governo cinese che, con la sua ossessione per la segretezza, ha ritardato la mobilitazione necessaria a contenere il coronavirus, sia non fornendo dati accurati sia per lo stile della sua comunicazione pubblica.

Soltanto alla fine di gennaio, tra le pressioni internazionali, le autorità cinesi hanno adottato misure drastiche per contenere il virus, compresa la costruzione di un ospedale in 10 giorni e la messa in quarantena di una città di 11 milioni di persone (caso unico nella storia dell’umanità) e poi di un’intera provincia. L’Oms ha a quel punto elogiato la Cina, congratulandosi per la prontezza della risposta e l’inedita trasparenza informativa.

Ma vale la pena ricordare che per quasi un mese dopo il primo caso documentato, il governo locale ha tenuto la popolazione sostanzialmente al buio: le autorità mantenevano artificiosamente basso il numero ufficiale dei casi confermati, arrestavano i medici responsabili di aver diffuso “voci” su un nuovo focolaio simile alla Sars e, soprattutto, insistevano sull’assenza di prove della trasmissione da uomo a uomo, anche quando gli ospedali di Wuhan traboccavano di pazienti con la febbre.

Questo modello in cui alla sottovalutazione iniziale da parte delle autorità locali fanno da contraltare poi gli interventi draconiani da parte del governo centrale non rappresenta una novità. Nel 2019 un virus mortale suino, la cosiddetta “peste suina africana”, è cominciato come un problema locale fino a gonfiarsi in una crisi nazionale e in una minaccia globale. Durante l’epidemia di Sars del 2003, la Cina è stata accusata di nascondere informazioni critiche e di esacerbare la diffusione del virus.

La Cina, insomma, sembra condannata a ripetere lo stesso errore ancora e ancora, anche se il governo condivide in apparenza lo stesso obiettivo della comunità internazionale, cioè affrontare una crisi di salute pubblica. Ma perché questa compulsione a ripetere? Il problema purtroppo è verosimilmente legato al modo in cui è costituita la stessa burocrazia cinese, quindi un limite strutturale, sedimentato in decenni di regime comunista che oggi, e in futuro, potrebbe costituire un grave ostacolo alla risposta internazionale alle potenziali minacce globali provenienti da nuovi virus.

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