Storicamente le linee guida sul consumo a basso rischio di alcol variano in modo considerevole da paese a paese. Siamo in effetti molto lontani dal consenso universale su ciò che i governi di tutto il mondo considerano una quantità “sicura”. Le raccomandazioni in questo ambito risentono inevitabilmente dei fattori culturali legati alle abitudini nazionali di consumo, delle pressioni lobbystiche dei produttori e dei somministratori di bevande alcoliche e, non ultimo, della difficoltà di produrre studi e revisioni conclusivi, liberi da fattori di confondimento.
A livello europeo le linee-guida sono state create via via dai singoli stati membri, senza coordinamento di sorta. Tanto che alla fine del 2016, a conclusione di un lavoro durato tre anni, sono state finalmente presentate le buone pratiche per l’elaborazione delle linee-guida da parte della JA RARHA (Reducing Alcohol Related HArm), la prima Joint Action europea dedicata al problema dell’alcol. Un tentativo di mettere ordine in uno scenario in cui il consumo medio giornaliero da non superare varia da 20 a 48 grammi di alcol per gli uomini e da 10 a 32 grammi per le donne.
Oggi una nuova analisi dei dati pubblicata su The Lancet conclude che i limiti raccomandati nel consumo di alcol dovrebbero essere abbassati fino alla soglia di 100 g a settimana, per gli uomini e per le donne.
Nello studio, in un campione di quasi 600.000 bevitori abituali (età media 57 anni, 44% donne, 21% fumatori) e senza precedenti malattie cardiovascolari è stato valutato il consumo di alcol in relazione alla mortalità per tutte le cause, alla malattia cardiovascolare totale e a diversi sottotipi di malattie cardiovascolari. I dati sul consumo di alcol, presenza di fattori di rischio e cause di morte, sono stati raccolti da 83 studi di coorte condotti a livello internazionale in paesi ad alto reddito. Per la mortalità per tutte le cause, è emersa un’associazione positiva con il livello di consumo di alcol, con un rischio minimo di mortalità per consumi inferiori a 100 g alla settimana. Il consumo di alcol è stato associato a un rischio più alto di ictus (HR per un consumo maggiore di 100 g a settimana 1,14, IC 95%, 1,10-1,17), di malattia coronarica escluso infarto miocardico (1,06, IC 95%, 1,00-1,11), di insufficienza cardiaca (1,09, IC 95%, 1,03-1,15), di malattia ipertensiva fatale (1,24, IC 95%, 1,15-1,33) e di aneurisma aortico fatale (1,15, 1,03-1,28). Al contrario, l’aumento del consumo di alcol è stato associato a un minor rischio di infarto miocardico (HR 0,94, IC 95%, 0,91-0,97). Infarto a parte, non sono state rilevate soglie di rischio chiare al di sotto delle quali un consumo di alcol inferiore ha smesso di essere associato a un più basso rischio di malattia. Detto in altre parole, diminuire il consumo individuale di alcol è comunque preferibile e le raccomandazioni dei vari paesi dovrebbero adeguarsi.
“Il messaggio chiave di questa ricerca per la salute pubblica è che, se già bevi alcolici, bere meno può aiutarti a vivere più a lungo e a ridurre il rischio di diverse condizioni cardiovascolari”, ha detto Angela Wood, la biostatistica dell’Università di Cambridge che ha condotto lo studio. Già, l’aspettativa di vita, perché l’aspetto del lavoro che ha fatto più sensazione è stato proprio l’impatto sull’aspettativa di vita che avrebbe il consumo abituale di alcol sopra la soglia dei 100 grammi a settimana, circa 1 bel bicchiere (1,5 dl) di vino rosso al giorno.
Rispetto ai fatidici 100 grammi a settimana, gli autori hanno stimato che bere da 100 a 200 grammi a settimana riduca la durata di vita di un quarantenne di sei mesi; da 200 a 350 grammi di uno o due anni; mentre più di 350 grammi da quattro a cinque anni.
Il fatto che l’articolo sul Lancet sia open access ha amplificato ulteriormente la notizia che ha fatto rapidamente il giro dei quotidiani mondiali ed è stata tra le più twittate nel giorno dell’uscita. Proprio da twitter però sono piovute pesanti critiche sullo studio. “Un team di scienziati prova che la sete delle persone per le notizie scientifiche del c***o è inestinguibile”, ha twittato lapidario Vinay Prasad, Assistant Professor Of Medicine presso la Oregon Health and Sciences University.
Il sensazionalismo creato dalla campagna mediatica spinta dallo studio ha creato in effetti un solco tra le evidenze presentate (secondo alcuni molto discutibili) e il dibattito che ne è seguito, un dibattito basato, come troppo spesso accade, più sulla vulgata dei mezzi di informazione che sui fatti.
Fonti
Kalinowski A et al. Governmental standard drink definitions and low-risk alcohol consumption guidelines in 37 countries. Addiction 2016;111(7):1293-8.
Scafato E et al. Epidemiologia e monitoraggio alcol-correlato in Italia e nelle Regioni. Rapporto 2017. Rapporti Istisan 17/1.
Wood et al. Risk thresholds for alcohol consumption: combined analysis of individual-participant data for 599 912 current drinkers in 83 prospective studies. Lancet 2018;391(10129):1513-1523.