Quali sono i trattamenti più efficaci per il diabete di tipo 2?
Per rispondere a tale quesito, un gruppo di studio coordinato da Giovanni Strippoli, del Dipartimento di Emergenza e Trapianti d’Organo dell’Università di Bari, ha utilizzato una metodologia di ricerca relativamente nuova, la metanalisi a rete (network meta-analysis), che consente di valutare tutte le terapie mediche per uno specifico problema clinico, con la possibilità di fare anche confronti indiretti.
“Un risultato centrale di questa metanalisi”, riassumono gli autori, “è che nonostante siano disponibili più di trecento studi clinici che coinvolgono quasi 120mila adulti e 1,4 milioni di mesi-paziente di trattamento, non ci sono evidenze significative che una specifica classe di farmaci ipoglicemizzanti, in monoterapia o in associazione, sia migliore di altre nel prolungare l’attesa di vita o ridurre il rischio di decesso per cause cardiovascolari nelle persone con diabete tipo 2”.
La metanalisi: sono stati inclusi 301 studi clinici randomizzati controllati (1 417 367 mesi-paziente), della durata di almeno sei mesi, di cui 177 studi (56 598 pazienti) su farmaci somministrati in monoterapia, 109 studi (53 030 pazienti) in duplice associazione ( metformina più un secondo farmaco) e 29 studi (10 598 pazienti) in triplice associazione (metformina, sulfaniluree più un terzo farmaco). Le classi di farmaci incluse nell’analisi, oltre a metformina e sulfaniluree, erano tiazolidinedioni, inibitori α-glicosidasi, DPP4-inibitori, SGLT2-inibitori, agonisti del recettore del GLP-1R, insulina basale e glinidi.
Esito primario dello studio: rischio di mortalità cardiovascolare. Esiti secondari: rischio di mortalità da tutte le cause, eventi avversi gravi, infarto del miocardio, ictus cerebrale, ipoglicemie, fallimento terapeutico; efficacia ipoglicemizzante (valutata in base ai livelli di emoglobina glicata), ed effetto sul peso corporeo.
Risultati: nelle persone adulte con diabete di tipo 2 non si sono evidenziate differenze significative tra le nove classi di anti-diabetici incluse nella metanalisi (in monoterapia o in associazione) in merito al rischio di mortalità da cause cardiovascolari o da tutte le cause. Nella maggior parte dei pazienti che necessitano di un solo farmaco, la metformina rimane il miglior compromesso per efficacia ipoglicemizzante, protezione cardiovascolare, mantenimento di efficacia nel tempo, rischio di ipoglicemie ed effetto sul peso. Gli altri farmaci vanno quindi considerati come alternative soltanto in caso di intolleranza o contro-indicazione alla metformina. La metanalisi evidenzia inoltre come non vi siano differenze sostanziali tra i farmaci da associare alla metformina, almeno in base agli endpoints clinici considerati; in altre parole non esiste al momento una opzione migliore delle altre sempre e in tutti i casi, del tipo “one size fits all”, e la decisione terapeutica deve essere accuratamente personalizzata in base alle caratteristiche cliniche del singolo paziente.
“Tali risultati sono concordi con le attuali linee guida della American Diabetic Association (Diabetes Care 2016;39:S39-S46) e con le indicazioni dell’algoritmo AIFA per la terapia del diabete tipo 2 che raccomandano la metformina come trattamento di prima linea con l’eventuale aggiunta di altri farmaci sulla base delle esigenze e delle caratteristiche dei singoli soggetti”, osserva Alfonso Bellia, specialista in endocrinologia e malattie del metabolismo (Università di Tor Vergata, Roma). “Il principale punto di forza di questa metanalisi consiste nell’avere incluso un numero notevole di pazienti e praticamente tutti i principali trial clinici sull’argomento che presentassero un determinato standard qualitativo”, aggiunge Bellia, “oltre a offire la possibilità di eseguire confronti indiretti in diversi contesti. Il limite principale è dato dal numero relativamente ridotto di eventi riportati dai singoli studi e inclusi nella metanalisi. Sull’onda dei risultati dei recenti trial di protezione cardiovascolare EMPA-REG OUTCOME e LEADER (non inclusi in questo studio), rimane da confermare se possano esserci benefici clinici maggiori dall’uso di certi principi attivi in determinate e selezionate categorie di pazienti”.
Fonte:
Palmer SC et al. Comparison of Clinical Outcomes and Adverse Events Associated With Glucose-Lowering Drugs in Patients With Type 2 Diabetes. JAMA. 2016;316(3):313-324. doi:10.1001/jama.2016.9400.