Nella sua BAL Talk, il ciclo di conferenze organizzato dalla Biblioteca Alessandro Liberati del SSR del Lazio, il cardiologo Marco Bobbio ha preso spunto da alcuni recenti articoli per evidenziare quali possono essere le conseguenze di una informazione lacunosa al paziente. “I medici spesso non forniscono le informazioni essenziali. Non parlano di effetti indesiderati, non parlano dei vantaggi del non fare nulla. Spesso il non detto è più importante di quello che si dice.”
In una videointervista abbiamo rivolto al relatore alcune domande su come comunicare con il paziente, anche quando c’è poco tempo, il paziente non vuole essere informato, oppure è disinformato.
Di seguito, una sintesi della conferenza.
Perché i pazienti pensano che una procedura serve, mentre in realtà non serve? “Intanto”, ha spiegato Bobbio, “perché molti dei colloqui sono frettolosi, e non perché non c’è il tempo, ma perché i medici non sono convinti che parlare ai pazienti serva. Se lo pensassero, il tempo lo troverebbero, togliendolo a cose che ritengono siano più importanti. E invece, il tempo per spiegare con una certa attenzione i problemi e le alternative ci sarebbe. E poi i medici non sono preparati, non gli è mai stato insegnato come affrontare un colloquio con il paziente. Gli è stato insegnato come affrontare un’emergenza clinica, ma non sanno come affrontare un paziente che si mette a piangere. Non sanno come presentare le cattive notizie. Imparano sulla base della loro esperienza, usando le loro attitudini professionali e psicologiche, in base al rapporto che hanno in quel momento con il paziente. Il paziente, inoltre, è molto fragile, frastornato. Le sue percezioni sono completamente diverse da quelle che avrebbe avuto in condizioni normali.”
La dissonanza cognitiva. Bobbio ha poi analizzato i processi mentali che contribuiscono alla formazione di convinzioni errate: “C’è poi quel concetto della psicologia, che è la dissonanza cognitiva. Prima di prendere una decisione, dal comprare una macchina allo scegliere una casa, si può essere in dubbio se scegliere una cosa o l’altra, ma nel momento in cui si decide si è convinti di aver fatto la scelta migliore. Anche il paziente si autoconvince di aver fatto la scelta migliore. Poi c’è quella che si chiama ‘convinzione personale del rischio’: quando diamo dei giudizi su rischi imponderabili (rischio nucleare, per es.) utilizziamo parametri che non sono legati alla conoscenza scientifica, ma alla nostra attitudine psicologica. Sono argomenti troppo vasti, in cui c’è una contrapposizione di dati, quindi noi andiamo a cercare quei dati che si confanno al nostro modo di pensare. Lo stesso avviene quando un paziente deve assumere una decisione che riguarda la propria salute. Infine il consenso a un intervento è influenzato anche dal fatto che il paziente vuole accontentare il medico: se il medico consiglia una procedura, il paziente è convinto che serva e che il medico non gli possa consigliare una procedura del tutto inutile.
Informazione e conflitto di interessi. “L’informazione data ai pazienti è uno strumento delicatissimo, viene data male, malvolentieri, in modo non obiettivo. Esiste nei medici un conflitto di interessi che non è soltanto di tipo economico: chi lavora in una struttura pubblica non guadagna di più o di meno facendo una procedura in più o in meno, però ha comunque bisogno di fare più procedure: l’Azienda lo valuta sulla base della quantità di attività che svolge e non sulla qualità, e anche il reparto viene valutato in base al numero di procedure eseguite. Poi tener conto anche dell’interesse personale: se si sa fare una procedura, fa piacere eseguirla.”
Cosa fare? “Il movimento Slow Medicine, nato in Italia, propone una medicina che abbia tre caratteristiche, che sia sobria, rispettosa e giusta. Sobria vuol dire che non esageri, facendo cose inutili, rispettosa, che tenga conto delle esigenze del paziente, e giusta, cioè che sia equa, per una medicina che sia distribuita sul territorio e raggiunga tutti i pazienti. Slow Medicine vuole contribuire a educare medici e pazienti a un rapporto che sia costruttivo: se il rapporto non è costruttivo, oltretutto, c’è un grosso rischio che ci siano dei contenziosi legali, che spesso derivano da una pessima comunicazione tra il paziente e il medico. Tutti parlano di alleanza terapeutica, ma nessuno la mette in pratica. È arrivato il momento, visto che ci sono tanti dati che dimostrano che serve”.
Nel corso del suo intervento Bobbio ha anche illustrato e commentato un articolo di Rothberg et al., da poco pubblicato dal JAMA Internal Medicine, sul ruolo dell’informazione ai pazienti sulla loro decisione di sottoporsi a un’angioplastica: “Recentemente è stata pubblicata una ricerca in cui sono state analizzate le registrazioni di una serie di colloqui tra medico e paziente. Sono state raccolte un migliaio di interviste su molte patologie: lo scopo non era sondare qualche ipotesi, ma raccogliere una casistica di incontri medico-paziente. Sono state individuate 59 conversazioni in cui si discuteva dell’opportunità di sottoporre il paziente ad angiografia ed eventualmente ad angioplastica. Le interviste sono state analizzate sulla base di sette item (ruolo del paziente nella decisione, informazioni sull’intervento, vantaggi e svantaggi, alternative, incertezze, verifica della comprensione da parte del paziente di quanto esposto e valutazione delle sue preferenze). Sono emersi dei dati straordinari. Se il medico non affrontava nessuno, o solo 1, di questi 7 argomenti che si ritengono necessari per una informazione corretta, il 100% dei pazienti si sottoponeva ad angioplastica. Mentre quando sono stati utilizzati tutti i 7 item (solo nel 2% dei colloqui), i pazienti hanno scelto di non sottoporsi all’intervento. Vuol dire che più l’informazione è completa, meno il paziente si sottopone a degli interventi.”
Rothberg MB, Sivalingam SK, Kleppel R, Schweiger M, Hu B, Sepucha KR. Informed decision making for percutaneous coronary intervention for stable coronary disease. JAMA Intern Med. 2015;175(7):1199-1206.
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Marco Bobbio è stato primario di Cardiologia all’Ospedale Santa Croce e Carle di Cuneo e responsabile dei trapianti di cuore a Torino per 15 anni. Ha scritto per Bollati Boringhieri (1993) Leggenda e realtà del colesterolo – Le labili certezze della medicina; con Stefano Cagliano per Donzelli (2005) Rischiare di guarire – Farmaci, sperimentazione, diritti del malato e I farmaci del cuore (Il Pensiero Scientifico Editore, 2009). Per Einaudi ha pubblicato Giuro di esercitare la medicina in libertà e indipendenza (2004) e Il malato immaginato (2010). Fa parte del consiglio direttivo di Slow Medicine e presso l’Azienda S. Croce e Carle di Cuneo coordina il progetto Aziendale “Fare di più non significa fare meglio – Le 3 pratiche a rischio di inappropriatezza” insieme alla dottoressa Giorgetta Cappa.