Il consumo di glutine non sarebbe associato a un aumento di malattie cardiache in persone non celiache, secondo uno studio pubblicato sul BMJ. Anzi. In questi soggetti evitare il glutine può comportare una riduzione dell’assunzione di cereali integrali, che invece sono associati a benefici cardiovascolari. Per cui un’alimentazione senza glutine dovrebbe essere scoraggiata in soggetti senza malattia celiaca. Eppure, anche in Italia è aumentato il numero di persone che evitano il glutine senza motivi fondati, nella convinzione che il suo consumo possa avere effetti deleteri per la salute.
Lo studio
Dal 1986 al 2010 è stato distribuito un questionario sull’alimentazione a operatori e operatrici sanitarie statunitensi (64 714 donne del Nurses’ Health Study e 45 303 uomini dell’Health Professionals Follow-up Study) aggiornato ogni 4 anni per monitorare il consumo di glutine. L’esito principale era lo sviluppo di cardiopatia ischemica (infarto del miocardio)
Nel corso di 26 anni di follow-up, 2431 donne e 4098 uomini hanno sviluppato cardiopatia ischemica. Tra chi consumava meno glutine si è registrata un’incidenza di cardiopatia ischemica di 352 eventi ogni 100.000 anni-persona; tra chi consumava più glutine c’era un’incidenza di 277 eventi ogni 100.000 anni-persona. Dopo un aggiustamento per fattori di rischio noti, non si è rilevata alcuna associazione significativa tra consumo stimato di glutine e rischio di cardiopatia ischemica. Dopo un aggiustamento supplementare sulla base del consumo di cereali raffinati, il consumo di glutine stimato era associato a un rischio inferiore di cardiopatia ischemica (multivariate hazard ratio 0.85, 0.77 -0.93; P for trend=0.002).
Ma perché il glutine viene evitato anche da chi non soffre di celiachia? Quale cortocircuito logico ha innescato questo fenomeno? Si sa che il glutine, nelle persone celiache, provoca una risposta infiammatoria e che tali soggetti potrebbero avere un aumento del rischio di infarto del miocardio e di morte per malattie cardiovascolari. Un rischio che si riduce dopo la diagnosi della celiachia, probabilmente grazie alla dieta senza glutine, anche se, scrivono Benjamin Lebwohl (Celiac Disease Center, Columbia University, New York) e collaboratori, autori della ricerca del BMJ, questa associazione è controversa. Da qui, continuano a spiegare gli autori, si è passati all’ipotesi che il glutine possa avere effetti deleteri anche in assenza di una specifica sensibilità; inoltre gli alimenti che contengono glutine hanno spesso un elevato indice glicemico, che è stato associato al rischio cardiovascolare. Il risultato è che si è diffusa l’opinione che il glutine possa aumentare anche il rischio di obesità, sindrome metabolica, sintomi neuropsichiatrici. E così le diete senza glutine sono diventate una moda.
Dai risultati dello studio di Lebwohl e collaboratori sembrerebbe vero proprio il contrario: limitare il glutine va a svantaggio del consuno di cereali integrali, e questa limitazione può essere associata a esiti cardiovascolari avversi, per cui “la promozione di diete senza glutine con lo scopo di prevenire malattie cardiache tra persone asintomatiche senza celiachia non va raccomandata”.
Siamo dunque in presenza di un paradosso. Come si legge sul sito dell’Istituto Superiore di Sanità “in Italia il 70% dei celiaci risulta non diagnosticato e soprattutto non trattato. Un dato ben lontano dalle 600.000 diagnosi attese. E se da un lato la celiachia è la malattia più sotto-stimata, dall’altro è anche quella che ha un altissimo numero di diagnosi sbagliate. Questo a causa di diagnosi fai-da-te, risposte cercate su Internet e sui social network, ‘mode’ secondo cui togliere il glutine dalla dieta fa comunque bene, una serie insomma di credenze e falsi miti che fa male alla salute”. Quali le cause della difficoltà di una diagnosi precoce e corretta? Come spiega Marco Silano, esperto di celiachia dell’ISS, vanno considerate “la scarsa conoscenza delle modalità di esordio da parte dei medici che operano sul territorio; le indicazioni che si trovano sui social per ricorrere a test diagnostici di intolleranze ed allergie, privi di alcun fondamento scientifico, che per di più costano molto e portano a diete di esclusione senza motivo; la moda del glutine dannoso per tutti, per la quale si è addirittura arrivati a coniare il termine glutenfobia, e che può portare a mancate diagnosi o a ritardi nelle stesse”.
Fonti
Lebwohl B. Long term gluten consumption in adults without celiac disease and risk of coronary heart disease: prospective cohort study. BMJ 2017;357:j1892
Mara Magistroni. Evitare il glutine non vi fa bene, se non siete celiaci. Wired, 8 Mag, 2017.
Zosia Kmietowicz. Gluten-free diet is not recommended for people without celiac disease. BMJ 2017;357:j2135 (Published 03 May 2017)
Celiachia: pazienti sottostimati, 7 su 10 non sanno di essere celiaci. Attenzione alle auto-diagnosi e alla moda del gluten free. ISS 20 maggio 2016.
Vedi anche il comunicato stampa della Associazione Italiana Celiachia, in occasione della Settimana Nazionale della Celiachia (13-21 maggio), dove si legge: “6 milioni di italiani celiaci ‘per moda’, sprecano ogni anno 105 mln di euro. Dilaga la moda dei cibi gluten-free, un mercato in continua crescita al ritmo del 27% l’anno, che in Italia vale 320 milioni di euro ma solo 215 vengono spesi dai pazienti con diagnosi. Un prodotto su tre viene infatti acquistato da chi non è celiaco e pensa così di dimagrire o guadagnare benessere, ma è un falso mito: nessuna ricerca scientifica dimostra i vantaggi per la salute erroneamente attribuiti alla dieta senza glutine per chi non è celiaco”.
Segnaliamo in particolare la pagina: Cosa non è la celiachia