Una revisione sistematica ha analizzato le attuali evidenze disponibili sugli effetti dei trattamenti immunoterapici in oncologia rispetto alla fertilità, alla sessualità e a una gravidanza in corso.
Il gruppo di lavoro totalmente italiano ha evidenziato come i trattamenti immunoterapici, nello specifico i checkpoint inhibitors come gli anti-PD1/anti-PDL1/anti-CTLA4, hanno scosso l’approccio terapeutico oncologico, migliorando drasticamente le prognosi e i tassi di guarigione di numerose neoplasie.
Basti pensare ai melanomi, ai tumori polmonari o a quelli renali anche in un contesto curativo precoce, ma, allo stesso tempo, risulta spiazzante l’estrema scarsità di dati circa il loro eventuale ruolo nella compromissione di fertilità, sessualità o di un’eventuale gravidanza in corso. La revisione sistematica ha fatto luce sulle attuali evidenze e analizzato i tre contesti riproduttivi sopracitati al fine di creare un fondamento culturale condiviso tra clinici. Emerge quanto segue:
- I checkpoint inhibitors potrebbero ridurre la fertilità in due modi principali. Il primo, più noto e conosciuto, è l’ipogonadismo secondario, cioè una compromissione della funzionalità dell’asse ipofisi-gonadi. Sebbene l’ipofisite sia ampiamente descritta come tossicità da checkpoint inhibitors, il reale effetto di compromissione della fertilità al momento non è noto.
Il secondo meccanismo di ipofertilità potrebbe risiedere nell’ipogonadismo primario, dovuto ad un danno immuno-mediato delle gonadi. Sebbene tale effetto appaia possibile, la sua reale incidenza non è al momento nota; - I checkpoint inhibitors non dovrebbero essere utilizzati in corso di gravidanza, poiché potenzialmente in grado di comprometterne l’esito. Tuttavia, in letteratura sono riportati casi di gravidanza conclusasi positivamente in corso di tali trattamenti;
- Non è chiaramente noto se i checkpoint inhibitors siano in grado di compromettere la sessualità dei pazienti in trattamento attivo. È necessario effettuare nuovi studi per un miglior inquadramento del fenomeno.
In conclusione, nonostante la scarsità di dati, è possibile definire delle indicazioni pragmatiche per i pazienti che si apprestano ad iniziare un trattamento con farmaci anti-PD1/anti-PDL1/anti-CTLA4 (come nivolumab, pembrolizumab, atezolizumab o ipilimumab). In particolare:
- È necessario discutere prima di cominciare la terapia l’eventuale rischio di compromissione della fertilità. A tal fine, nel paziente giovane, è indicato proporre un’adeguata strategia di preservazione della fertilità come la criopreservazione;
- È necessario discutere dell’importanza di un’adeguata contraccezione in corso di terapia. Le donne in età fertile dovrebbero effettuare sempre un test di gravidanza prima di iniziare il trattamento. Nel caso di donne gravide dovrà essere condiviso il ragionamento clinico e il rapporto rischio-beneficio di eventuali trattamenti con checkpoint inhibitors;
- Discutere della possibilità, al momento teorica, di un’eventuale compromissione della libido. In caso di ipofisite valutare eventuali deficit di ormoni sessuali e integrazione degli stessi, se clinicamente adeguato.
Per concludere: i trattamenti immunologici con checkpoint inhibitors stanno portando risultati straordinari in termini di efficacia. Ma un miglior inquadramento e gestione delle possibili tossicità riproduttive dovrebbe essere considerato. Ciò è particolarmente vero anche nei pazienti lungo-rispondenti ai trattamenti, in cui l’ipotesi di una vita normale non dovrebbe essere esclusa a priori.
Raffaele Giusti
Fonte
Garutti M et al. Checkpoint inhibitors, fertility, pregnancy, and sexual life: a systematic review. ESMO Open 2021;6(5):100276.