Inibitori di pompa protonica e rischi per i reni

Gli inibitori di pompa protonica (IPP) sarebbero associati a un maggiore rischio di malattia renale cronica (MRC). È la conclusione di due analisi basate sulla popolazione pubblicate su JAMA Internal Medicine.

“La crescente prevalenza di MRC nelle comunità non può essere interamente spiegata dai trend dei fattori di rischio noti, come diabete mellito e ipertensione … Identificare fattori di rischio iatrogeni per la MRC potrebbe aiutare a promuovere l’uso razionale dei farmaci e ridurre il peso globale delle MRC”, scrivono gli autori dello studio. Tra gli indiziati, gli inibitori di pompa protonica, che sono tra i farmaci più prescritti a livello globale e il cui uso è stato, per ora, associato alla nefrite interstiziale acuta.

Lo studio. Sono stati confrontati i tassi di incidenza di MRC tra i 10,482 soggetti dello studio Atherosclerosis Risk in Communities (ARIC) in relazione all’assunzione di IPP. Il follow-up mediano è stato di 13.9 anni. Il rischio era superiore sia se confrontato con quello del gruppo di soggetti che assumevano inibitori del recettore H2 sia rispetto ai soggetti che non usavano IPP.

Durante il follow-up, sono stati registrati 56 casi di MRC tra i 322 utilizzatori di IPP e 1382 casi tra il gruppo che non assumeva IPP (10.160 soggetti), con un rischio assoluto di MRC stimato in 10 anni tra chi usava IPP pari a 11,8%, superiore del 3,3% rispetto al rischio previsto (8,5%) dei non utilizzatori. Considerando, nell’analisi statistica, le variabili demografiche, socioeconomiche e cliniche, l’utilizzo di IPP è risultato associato a un aumento del 50% del rischio di MRC rispetto al non uso. Il rischio rimaneva alto anche nel confronto con gli utilizzatori degli inibitori del recettore H2 (HR aggiustato=1,4; 95% CI 1.01-1.9).

Sono stati esaminati anche i dati relativi a 248.751 soggetti del sistema sanitario di Geisinger in Pennsylvania, con un follow-up di 6,2 anni: al basale, 16.900 (6,8%) di tali soggetti aveva ricevuto una prescrzione di IPP. Sono stati rilevati 1921 casi di MRC tra i soggetti che usavano IPP (16.900)  contro 28.226 casi tra i 231.851 soggetti che non ne facevano uso, con un rischio assoluto di MRC stimato in 10 anni tra chi usava IPP pari a 15,6%, superiore del 1,7% rispetto al rischio previsto dei non utilizzatori.

“Sottolineiamo che il nostro studio è osservazionale e non fornisce evidenze di causalità”, scrivono Benjamin Lazarus (Department of Epidemiology, Johns Hopkins University, Baltimore, Maryland, and the Department of Medicine, Royal Brisbane and Women’s Hospital, Brisbane, Australia) e collaboratori, “tuttavia, un rapporto causale tra l’uso di IPP e MRC potrebbe avere un rilevante effetto sulla salute pubblica, dato l’ampio uso che se ne fa … Ci sono studi che suggeriscono che fino al 70% di prescrizioni di IPP sono senza una corretta indicazione e che il 25% di chi ne fa uso a lungo termine potrebbe sospendere la terapia senza sviluppare sintomi.”

Nell’editoriale che commenta l’articolo Adam Jacob Schoenfeld e Deborah Grady (University of California, San Francisco) esortano a proporre alternative agli IPP, come cambiamenti degli stili di vita: “Un numero considerevole di persone assume IPP senza ragioni precise, spesso per sintomi remoti di dispepsia o ‘bruciori’ che si sono nel frattempo risolti. In tali pazienti,” raccomandano, “gli IPP dovrebbero essere sospesi e stabilire se è necessario un trattamento sintomatico”. Nell’editoriale viene fatta anche una breve rassegna sulle evidenze che collegano gli IPP alla nefrite interstiziale acuta, all’ipomagnesiemia, all’infezione da Clostridium difficile, alla polmonite comunitaria e alle fratture da osteoporosi. Tali collegamenti sono stati documentati da “molteplici studi osservazionali di elevata qualità e sono probabilmente causali”.

Schoenfeld e Grady concludono: “In pazienti con reflusso gastroesofageo sintomatico, ulcera o dispepsia severa, i benefici legati all’uso degli IPP superano i potenziali rischi. Comunque, per sintomi meno severi e per prevenire sanguinamenti in pazienti a basso rischio, i rischi potenziali potrebbero superare i benefici”.

Fonti:
Lazarus B, Chen Y, Wilson FP et al. Proton pump inhibitor use and the risk of chronic kidney disease. JAMA Intern Med 2016: 238-46.
Schoenfeld AJ, Grady D. Adverse effects associated with proton pump inhibitors. JAMA Intern Med. 2016: 1-3. doi: 10.1001/jamainternmed.2015.7927. [Epub ahead of print]

Sulla BAL: Inibitori di pompa protonica e cuore: relazioni pericolose, 12/06/2015.

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