In persone con cardiopatia ischemica stabile, l’angioplastica coronarica percutanea (PCI), in aggiunta alla terapia medica, non migliora la sopravvivenza: questa la conclusione dello studio COURAGE (Clinical Outcomes Utilizing Revascularization and Aggressive Drug Evaluation). Dopo un follow-up più lungo sono dunque confermati i risultati dello studio pubblicato nel 2007 sul New England Journal of Medicine.
Tra il 1999 (giugno) e l’inizio del 2004 sono stati randomizzati 2287 pazienti con cardiopatia ischemica stabile a una strategia di trattamento con terapia medica ottimale (gruppo di terapia medica) oppure a terapia medica ottimale più PCI (gruppo PCI).
Risultati A un follow-up di 4.6 anni non furono rilevate differenze significative nei tassi di sopravvivenza. Per un gruppo di pazienti (53% della popolazione originaria) è stato possibile ottenere dati sulla sopravvivenza ad un follow-up medio di 11.9 anni (range, 0-15 anni). Nel periodo in studio si sono registrati 561 decessi (180 durante il periodo follow-up del trial originale e 381 durante il follow-up esteso): di queste, 284 morti (25%) nel gruppo PCI e 277 (24%) nel gruppo di terapia medica (adjusted hazard ratio, 1.03; 95% CI 0.83-1.21; P=0.76).
Da un’analisi per sottogruppi non sono state individuate tipologie di pazienti che potessero trarre beneficio da una PCI all’inizio del trattamento. Tra le variabili considerate: età superiore o inferiore a 60 anni, genere, abitudine al fumo, comorbidità come diabete mellito, patologie polmonari, epatiche o renali.
I risultati sono congruenti con quelli dello studio Bypass Angioplasty Revascularization Investigation 2 Diabetes (BARI 2D) che ha coinvolto 2368 pazienti con diabete e cardiopatia ischemica stabile: il BARI 2D infatti non aveva dimostrato un miglioramento della sopravvivenza con la PCI rispetto all’endpoint primario, cioè la morte per tutte le cause, dopo un follow-up mediano di 5.3 anni.
“Prima del trial COURAGE la maggior parte dei cardiologi interventisti, me incluso”, ha detto a Medscape Steven Sedlis (New York Harbor Health Care System, NY), uno degli autori del gruppo, “riteneva che la PCI dell’ischemia che causa l’ostruzione delle coronarie portasse a esiti migliori e che probabilmente migliorasse la sopravvivenza … “, dopo molti più anni di follow-up non sono state però rilevate differenze, per cui ”escludiamo la possibilità di un beneficio a lungo termine di una PCI iniziale” conclude Sedlis.
Fonti:
Sedlis SP, Hartigan PM, Teo KK et al. Effect of PCI on Long-term survival in patients with stable ischemic heart disease. N Engl J Med 2015; 373:1937-46.
La descrizione dello studio in poco più di 1 minuto nel video a cura del NEJM: