Gli anniversari sono spesso occasione per fare un punto della situazione, riflettere sul passato, mettersi in discussione e fare progetti. Un po’ di tutto questo è successo per i 20 anni della Cochrane: celebrazioni, ma anche durissimi attacchi.
Iniziamo dalle celebrazioni: BMJ e JAMA hanno pubblicato una serie di video con interviste ai principali esponenti dell’EbM (Iain Chalmers, Kay Dickersin, Paul Glasziou, Muir Gray, Gordon Guyatt, Brian Haynes, Drummond Rennie, David L. Sackett, Richard Smith). L’editoriale sul JAMA è affidato a Richard Smith (ex direttore del BMJ) e a Drummond Rennie (coautore di Users’ Guides to the Medical Literature: A Manual for Evidence-Based Clinical Practice), che ripercorrono la storia dell’EbM, dagli entusiasmi iniziali alle periodiche crisi di crescita.
Una critica molto dura arriva da un collaboratore del BMJ, Des Spence: in un suo articolo citatissimo e che ha generato finora più di trenta risposte denuncia come l’industria farmaceutica si sia appropriata degli strumenti dell’EbM per “legittimare diagnosi illegittime, ampliare le indicazioni dei farmaci (…) La ricerca attuale è inquinata da frodi, false diagnosi (…). L’EbM è oggi corrotta.” Dopo essersi resi conto di avere un problema, conclude Spence, è necessario individuare i cambiamenti da introdurre: studiare la storia naturale delle malattie, intensificare la ricerca su interventi non farmacologici da una parte, e sugli effetti a lungo termine dei farmaci dall’altra, e incoraggiare lo scetticismo intellettuale.
A Spence risponde la direttrice del BMJ, Fiona Godlee, che chiede aiuto a un illustre connazionale, Winston Churchill, e da una parte ammette che “l’EBM può sì essere il sistema peggiore per prendere decisioni…”, ma aggiunge “eccezion fatta per tutti gli altri sistemi che si sono sperimentati fino ad ora”.
In un altro editoriale, pubblicato sempre sul BMJ, Smith indica possibili misure per far evolvere il movimento dell’EbM: allargare il campo d’azione e fare oggetto di indagine anche i test diagnostici, promuovere studi qualitativi sull’implementazione, senza quindi limitarsi ai trattamenti. Sempre più urgente, inoltre, lo sviluppo di strumenti derivati dalle revisioni sistematiche per rendere più facilmente utilizzabili i risultati degli studi. “Giustamente orgogliosa dei risultati raggiunti” conclude Smith “la Cochrane Collaboration è ben preparata ad affrontare le sue molteplici sfide”.
Sicuramente è disponibile a farlo, tanto da istituire un premio, The Bill Silverman Prize, per il migliore studio con critiche costruttive per perfezionare il lavoro della Cochrane stessa.