Malattia di Parkinson ed esposizione ai metalli: una questione aperta

Uno studio pubblicato sull’American Journal of Epidemiology ha esaminato la letteratura sull’esposizione ai metalli collegata al rischio di malattia di Parkinson. L’obiettivo era anche quello di esaminare la qualità degli studi complessiva e i metodi di valutazione dell’esposizione utilizzati.

La malattia di Parkinson è la seconda malattia neurodegenerativa più frequente al mondo e sta mostrando una crescita più rapida rispetto a qualsiasi altro disturbo neurologico. Un aumento che l’invecchiamento della popolazione non può spiegare del tutto. La ricerca ha dimostrato che l’esposizione ai metalli potrebbe essere un potenziale fattore di rischio ambientale per il morbo di Parkinson.

In particolare i metalli potrebbero portare a stress ossidativo e disfunzione mitocondriale, attivazione delle cellule microgliali e infiammazione o promozione dell’aggregazione dell’α-sinucleina e della formazione di fibrille. Sono stati già pubblicati numerosi studi sul rischio di malattia di Parkinson e metalli specifici, ma i risultati non sono conclusivi.

Lo studio consisteva in una metanalisi e una revisione sistematica per analizzare le prove epidemiologiche delle associazioni tra rischio di malattia di Parkinson ed esposizione ai metalli. Dai database presi in considerazione (PubMed, EMBASE e Cochrane) sono stati inclusi cinque studi di coorte e 83 studi caso-controllo (periodo 1963-2020).

È stato osservato che la maggior parte degli studi caso-controllo era di qualità moderata e si trattava di studi di biomonitoraggio. Nel complesso non sono riscontrate osservate associazioni coerenti rispetto all’oggetto di ricerca ad eccezione del piombo: in due studi in cui è stato notato un livello più elevato di piombo nelle ossa dei pazienti con malattia di Parkinson.

Il rischio era più alto dopo l’esposizione al mercurio nell’aria e anche la mortalità era più alta tra gli individui che bevevano acqua con alte concentrazioni di selenio.

Alcuni studi hanno dimostrato che un eccesso di metalli, come manganese, ferro, piombo, mercurio, alluminio e cadmio, potrebbe indurre lesioni nei neuroni dopaminergici.

Infine resta poco chiaro il ruolo di metalli come zinco e rame, mentre il magnesio sembra risultare un agente neuroprotettivo.

Ovviamente non si tratta di conclusioni definitive a causa della mancanza di coerenza tra gli studi e della loro elevata eterogeneità. Un’eterogeneità che potrebbe derivare da diversi metodi di rilevamento dei metalli negli studi di biomonitoraggio o da altri fattori come l’età e il sesso.

Limiti
Innanzitutto non può essere escluso il bias di selezione perché alcuni studi hanno identificato la malattia di Parkinson attraverso registri sanitari o certificati di morte. È probabile che i primi omettano i casi di Parkinson precoci o lievi, concentrandosi soltanto sui casi gravi. Inoltre anche la selezione dei controlli è spesso basata sugli ospedali, che potrebbero non essere rappresentativi della popolazione.

Conclusioni
Un’enorme percentuale della ricerca era di scarsa qualità, con elevata eterogeneità nei risultati e limiti metodologici. Un aspetto che rende evidente la necessità di una ricerca più di qualità nel campo dell’epidemiologia del Parkinson per stabilire l’associazione tra il rischio di malattia e l’esposizione ai metalli: in sostanza grandi studi prospettici di coorte con un lungo follow-up, una storia di esposizione completa per l’intero arco di vita e biobanche consolidate.

Fonte
Zhao Y et al. Metal exposure and risk of Parkinson’s disease: a systematic review and meta-analysis. Am J Epidemiol 2023:kwad082.

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