Meno del 60 per cento dei neonati prematuri viene trattato in Europa con le principali terapie di provata efficacia.
A questa conclusione è arrivato uno studio osservazionale multicentrico condotto in 19 regioni europee di 11 paesi che sono coinvolte nel progetto EPICE (Effective Perinatal Intensive Care in Europe for very preterm births).
La popolazione coinvolta: tra il 2011 e il 2012, nei centri partecipanti allo studio, si sono avute 850mila nascite con 7336 neonati nati tra la 24° e la 31°+6 settimana di gravidanza senza anomalie congenite e ammessi nei reparti di neonatologia. Di questi, solo il 58.3% (n=4275) è stato sottoposto a tutte e quattro le principali terapie di provata efficacia. Con quali conseguenze? Una gestione basata sulle evidenze, tenendo conto sia di variabili cliniche che legate alla modalità di parto, comporterebbe una diminuzione del 18% della mortalità o della morbilità grave (Rischio relativo=0.82 95%IC 0.73-0.92).
Le pratiche di provata efficacia prese in esame
- Parto in una struttura con un livello appropriato di assistenza neonatale
- Somministrazione prenatale a donne a reale rischio di parto pretermine di un ciclo di corticosteroidi per la maturazione polmonare
- Prevenzione dell’ipotermia neonatale
- somministrazione di surfattante entro 2 ore dalla nascita oppure nCPAP (nasal continuous positive airway pressure) precoce per promuovere la funzionalità polmonare
Abbiamo visto che il 58.3% dei neonati viene trattato in conformità alle migliori evidenze e usufruisce di tutte e quattro le pratiche: si passa dal 75% dell’Estonia e di due regioni del Regno Unito, al 32% di Lisbona. Allo studio hanno partecipato anche strutture italiane, con percentuali di pratiche “evidence-based” al di sopra della media europea in Emilia Romagna (67.9%) e al di sotto nel Lazio (42.4% ) e nelle Marche (51.5%).
Cosa sarebbe successo se tutti i neonati avessero ricevuto l’assistenza appropriata, e non solo poco più della metà? Secondo le stime dello studio, si sarebbero registrati 310 morti anziché 431 e 285 casi di morbilità severa anziché 350. Sarebbero cioè morti 121 bambini in meno e ci sarebbero stati 65 casi in meno di patologie gravi.
L’editoriale che commenta l’articolo conclude con la considerazione che “mettere in pratica le buone evidenze è una massima priorità per le famiglie di neonati prematuri vulnerabili e per le figure professionali che se ne prendono cura”: questo, in un campo, la neonatologia, che è stato uno dei primi ad adottare i principi della medicina basata sulle prove di efficacia.
Sul sito Oggiscienza una delle ricercatrici del progetto, Marina Cuttini, epidemiologa dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma, commenta l’esito della ricerca: “Probabilmente si può fare ancora molto per identificare le gravidanze a rischio e indirizzarle fin da subito in centri di terzo livello, o per organizzare reti di ospedali che sappiano reagire in modo tempestivo alle emergenze. Si possono mettere a punto nuovi protocolli di organizzazione dei servizi, da testare in appositi studi”.
Fonti
Davis PG, Owen LS, Manley BJ. Lost in translation: evidence to improve outcomes of very preterm infants. BMJ 2016;354:i3358.
Zeitlin J. Use of evidence based practices to improve survival without severe morbidity for very preterm infants: results from the EPICE population based cohort. BMJ 2016;354:i2976.
Progetto EPICE
Valentina Murelli. Strategie salvavita per neonati prematuri: in Europa si può fare meglio. Oggiscienza, Gravidanza e dintorni, 12 luglio 2016.