A marzo l’American College of Gastroenterology ha pubblicato le nuove linee guida per la diagnosi e il trattamento della colite ulcerosa, una malattia infiammatoria cronica intestinale la cui incidenza è in aumento tutto il mondo.
Rispetto alle precedenti linee guida, che risalgono a una decina di anni fa, con l’introduzione di nuove terapie e nuove tecniche la gestione della patologia si è fatta considerevolmente più complessa e oggi “la gestione ottimale è un periodo prolungato e duraturo di remissione senza steroidi, accompagnato da un adeguato supporto psicosociale, una normale qualità della vita tenuto conto dello stato di salute, la prevenzione della morbilità, l’ospedalizzazione, la chirurgia e la prevenzione del cancro”.
Diagnosi
Dal punto di vista della diagnosi, gli autori delle linee guida sostengono che la colite ulcerosa dovrebbe essere presa in considerazione nel caso di pazienti con emorragia rettale e urgenza, e che le cause infettive (in particolare la presenza di Clostridioides difficile) dovrebbero essere subito escluse. È indispensabile anche una valutazione preliminare dell’entità della malattia, che può variare da una proctite limitata a una malattia estesa oltre la flessione splenica. A questo scopo l’esame elettivo è rappresentato dall’endoscopia gastrointestinale con conferma istologica.
Classificazione
Il nuovo sistema di classificazione proposto per la colite ulcerosa prevede tre stadi di gravità: ad attività lieve, moderata-grave e fulminante. La malattia “lieve” è definita da meno di quattro evacuazioni al giorno, sanguinamento intermittente, sottoscala di endoscopia Mayo di 1, proteina C-reattiva elevata (PCR), emoglobina normale e calprotectina fecale (CF) compresa tra 150 a 200 μg/g. La malattia “moderata-grave” è caratterizzata da più di sei evacuazioni al giorno, sangue frequente nelle feci, PCR elevata, velocità di eritrosedimentazione (VES) superiore a 30 mm/ora, emoglobina inferiore al 75% della norma e Mayo con punteggio 2 o 3. Infine, si parla di malattia “fulminante” in presenza di più di dieci evacuazioni al giorno, CF superiore a 150-200, VES superiore a 30, Mayo inferiore a 3 con necessità di trasfusioni.
Gestione
Tra gli obiettivi da raggiungere rispetto alla gestione della malattia, nelle linee guida sono in evidenza il raggiungimento della remissione, il controllo dei sintomi, la normalizzazione della frequenza intestinale e la remissione istologica. Naturalmente vista la natura cronica della colite ulcerosa, tutte le decisioni terapeutiche dovrebbero includere, secondo l’American College of Gastroenterology, la prevenzione della tossicità correlata alle terapie e affrontare la depressione e l’ansia che spesso coesistono nei pazienti.
La terapia di induzione per le forme ad attività lieve può iniziare con la somministrazione per via rettale di 5-aminosalicilati (raccomandazione forte) e, nei pazienti che non riescono a raggiungere la remissione, steroidi per via orale, preferibilmente budesonide, che ha un metabolismo di primo passaggio elevato e pochi effetti avversi. La risposta alla terapia di induzione deve essere valutata entro 6 settimane.
Quanto alle terapie con probiotici e trapianti di feci, che hanno dato segnali promettenti, le linee guida sostengono comunque la necessità di ulteriori studi per verificarne efficacia e sicurezza.
Nel caso di malattia da moderatamente a gravemente attiva, la scelta cade sui corticosteroidi orali, mentre non è considerata adatta la monoterapia con metotressato o tiopurone. Per l’induzione della remissione sono raccomandati anche gli agenti antitumorali inibitori del TNF infliximab, adalimumab e golimumab, compresi i nuovi agenti vedolizumab e tofacitinib.
Ottenuta la remissione, la strategia di mantenimento secondo gli autori non dovrebbe basarsi sui corticosteroidi sistemici ma sugli agenti anti-TNF, vedolizumab o tofacitinib, in pazienti che hanno risposto alla terapia di induzione con quegli stessi agenti.
In ospedale
Nella linee guida c’è anche una sezione che si si concentra sulla cura dei pazienti ospedalizzati con colite ulcerosa grave/acuta. Questi pazienti dovrebbero sottoporsi a test delle feci per escludere l’infezione da Clostridium difficile e sottoporsi a sigmoidoscopia flessibile preferibilmente entro 24 ore dal ricovero per valutare la gravità e testare l’infezione da citomegalovirus.
Nel trattamento ospedaliero vanno inclusi metilprednisolone o idrocortisone e, per i pazienti che non rispondono ai corticosteroidi per via endovenosa in 3 o 5 giorni, bisogna ricorrere a una terapia di salvataggio con infliximab o ciclosporina e va previsto un consulto chirurgico: la chirurgia è indicata per gravi complicanze tra cui megacolon tossico, perforazione o grave emorragia.
La prevenzione del cancro del colon-retto
La sezione finale si occupa della prevenzione del cancro del colon-retto, con la raccomandazione che lo screening inizi 8 anni dopo la diagnosi iniziale di colite ulcerosa; infatti dati recenti suggeriscono che i cambiamenti maligni possono verificarsi piuttosto presto. Le colonscopie devono essere ripetute a intervalli di 1-3 anni a seconda di fattori di rischio (età, durata della malattia e grado di infiammazione). “Una componente fondamentale per una strategia di prevenzione del cancro focalizzata sul rilevamento della displasia è un’accurata diagnosi istopatologica, e diverse analisi hanno enfatizzato l’importanza dei patologi con esperienza nella revisione delle neoplasie sospette associate alla UC”. In ogni caso, nei pazienti che sviluppano la displasia, “l’evoluzione della tecnologia ha portato ad approcci diversi, rimozione di lesioni endoscopicamente discrete e, in alcuni pazienti, sorveglianza attiva piuttosto che proctocolectomia”, concludono gli autori.
Fonte
Rubin DT et al. ACG Clinical Guideline. Ulcerative colitis in adults. American Journal of Gastroenterology 2019;114 (3):384-413.