Una nuova ricerca dell’Università di Exeter pubblicata sull’International Journal of Epidemiology ha scoperto che chi ha un rischio genetico più elevato di obesità può ridurre fino alla metà gli effetti dovuti al senso di fame e al mangiare incontrollato attraverso il contenimento dietetico.
In un momento storico in cui i cibi ad alto contenuto calorico vengono commercializzati e pubblicizzati in modo estremamente aggressivo, è più importante che mai capire come i geni influenzano il BMI. È risaputo che questi geni influiscono su tratti e comportamenti come la fame e il mangiare emotivo, ma ciò che rende diverso questa ricerca è che è stata testata l’influenza di due tipi di restrizione alimentare – rigida e flessibile – sull’effetto di questi comportamenti. Per la prima volta è stato appurato che l’aumento di entrambi i tipi di restrizione potrebbe potenzialmente migliorare il BMI nelle persone geneticamente a rischio, il che significa, più in generale, che gli interventi basati sulla contenzione potrebbero essere utili per affrontare il problema.
Ci sono oltre 900 geni che sono stati identificati finora dai ricercatori come associati al BMI e diversi studi suggeriscono che questi geni influenzano la sensazione di fame e la perdita di controllo nei confronti del cibo.
Lo studio in questione ha esaminato 3780 adulti di età compresa tra i 22 e i 92 anni provenienti da due coorti del Regno Unito: il Genetics of Appetite Study e l’Avon Longitudinal Study of Parents and Children. Sono stati misurati peso e altezza ed è stato prelevato un campione di DNA attraverso un prelievo ematico per calcolare un punteggio complessivo del rischio genetico di obesità. Poi sono stati compilati questionari per misurare 13 diversi comportamenti alimentari, tra cui la disinibizione (una tendenza alle abbuffate o all’alimentazione “emotiva”) e il consumo eccessivo di cibo provocato dalla fame.
Come previsto, i ricercatori hanno scoperto che un punteggio di rischio genetico più elevato era associato a un indice di massa corporea più alto, in parte a causa dell’aumento della disinibizione e della fame. Contemporaneamente è stato anche evidenziato che chi aveva avevano alti livelli di restrizione dietetica riduceva gli effetti di quasi la metà nei confronti della disinibizione e di un terzo rispetto alla fame: in sintesi, la moderazione può contrastare alcuni degli effetti del rischio genetico. Esistono diversi tipi di restrizioni dietetiche, dalle strategie flessibili – come essere consapevoli di ciò che si mangia e assumere volontariamente piccole porzioni – a quelle rigide, come il conteggio delle calorie. Lo studio ha testato per la prima volta l’influenza di entrambi questi tipi di restrizione e ha scoperto che potrebbero potenzialmente migliorare il BMI nelle persone geneticamente a rischio.
Gli interventi per facilitare la moderazione alimentare includono la modifica del setting alimentare (riduzione del contenuto calorico o della dimensione della porzione di cibo) o il sostegno alle persone. A questo scopo i membri del team di ricerca hanno sviluppato un’app, Food Trainer ( https://www.exeter.ac.uk /research/foodt/ ), che funziona come un gioco che allena le persone a fermarsi più volte di fronte a cibi ipercalorici, un allenamento può rivelarsi particolarmente utile per chi ha un indice di massa corporea più elevato.
Fonte
Shahina Begum et al. Mediation and moderation of genetic risk of obesity through eating behaviours in two UK cohorts. International Journal of Epidemiology 2023; dyad092.