La malattia da reflusso gastroesofageo (MRGE) ha una elevata prevalenza che, nei paesi occidentali, raggiunge il 20%. Una prevalenza destinata ad aumentare insieme all’epidemia di obesità. Su JAMA Surgery Marco Patti (Università di Chicago) fa il punto sullo stato attuale delle conoscenze sulla patofisiologia, sulla presentazione clinica, sulla valutazione diagnostica e sul trattamento della MRGE.
Patofisiologia
“La comprensione della patofisiologia multifattoriale della MRGE è cruciale per il trattamento appropriato di questa malattia”, esordisce Patti, che descrive brevemente le principali cause.
- Rilasciamento transitorio (40% dei casi) e lunghezza insufficiente o ipotensione (il restante 60% dei casi) dello sfintere esofageo inferiore (SFI).
- Difetti severi della peristalsi esofagea si riscontrano nel 30% dei soggetti con MRGE.
- Reflusso gastroesofageo e ernia iatale possono essere essere indipendenti l’uno dall’altro, tuttavia “la presenza e la dimensione di un’ernia sono spesso associate a lunghezza insufficiente o ipotensione dello SFI, a rilasciamento transitorio dello SFI più frequente, a disturbi della peristalsi esofagea, ad aumento dell’esposzione esofagea agli acidi e a danno mucosale più severo”.
- Reflusso gastrico: studi condotti eseguendo l’impedenzometria esofagea endoluminale hanno mostrato che gli inibitori di pompa protonica (IPP) modificano il pH del reflusso ma non il numero di episodi.
- L’aumento della pressione intra-addominale, come avviene nelle persone obese e nelle donne in gravidanza, predispone maggiormente al reflusso.
Presentazione clinica
“La maggior parte dei medici ritiene che la diagnosi di MRGE possa essere formulata con una attenta valutazione dei sintomi. Per cui, quando le persone si lamentono per il bruciore, vengono prescritti antiacidi, e una buona risposta viene considerata indicativa della presenza della malattia”, tuttavia, avverte l’autore, “la diagnosi di MRGE sulla base dei sintomi è sbagliata in una larga percentuale di casi”. Il cosiddetto test con IPP non è quindi un test accurato e sono necessarie evidenze più oggettive.
Quali test?
L’endoscopia può essere utile per escludere altre condizioni, ma il 50-60% di soggetti con reflusso anomalo non presenta evidenze di danno alle mucose. La manometria esofagea è di utilità limitata per la diagnosi di MRGE e può essere usata per escludere disturbi primari della motilità, come l’acalasia. Invece il monitoraggio ambulatoriale del pH è ora considerato il gold standard perché “permette la quantificazione dell’esposizione all’acido e la correlazione tra i sintomi e gli episodi di reflusso”. Infine la radiografia con bario non è utile per la diagnosi, ma fornisce importanti informazioni a livello anatomico.
Trattamento
Sono disponibili quattro tipi di trattamento, il cui scopo è migliorare i sintomi e diminuire il danno alla mucosa esofagea.
- Modifiche dello stile di vita: evitare di mangiare poco tempo prima di andare al letto, tenere la testa lievemente sollevata a letto, evitare alcol, fumo e alimenti come cioccolato, caffè e bevande gassate. Perdere peso, se si è in sovrappeso.
- Farmaci: vengono presentati i principali farmaci a disposizione, evidenziandone gli effetti e i rischi associati alla loro assunzione.
- Trattamento endoscopico: attualmente, “sembra che non ci sia un trattamento endoscopico efficace e che la scelta del trattamento sia tra l’uso di IPP e intervento chirurgico”.
- Trattamento chirurgico: per la maggior parte dei soggetti con MRGE sono sufficienti cambiamenti dello stile di vita e trattamento farmacologico. Quando questi interventi non bastano, è necessario l’intervento chirurgico per i pazienti che non riescono a controllare i sintomi con i farmaci, o che hanno complicazioni dovute all’assunzione dei farmaci, nei soggetti più giovani che non voglio assumere farmaci per tutta la vita, in soggetti con MRGE associata con una grande ernia iatale. L’intervento più indicato è la fundoplicatio laparoscopica. Per i soggetti con obesità patologica che non riescono a perdere peso, è preferibile il bypass gastrico Roux-en-Y.
La chiave per affrontare una patologia tanto diffusa è, conclude Patti, una diagnosi corretta “usando i test appropriati, oltre alla valutazione dei sintomi (…) I migliori risultati si ottengono con un team multidisciplinare che abbia per obiettivo un trattamento individualizzato”.
Abbiamo chiesto a Maurizio Koch un commento sulla rassegna: “Ottima la riflessione sistematica 2016 sulla malattia da reflusso gastroesofageo. Una delle novità più importanti è che la ricerca sulla terapia endsoscopica non ha ancora portato le tecniche a entrare nell’algoritmo terapeutico. Ancora, l’uso degli inibitori di pompa protonica, farmaci bench mark per la terapia, deve essere personalizzato. L’elevato consumo in Italia suggerisce una ‘dipendenza’ dagli IPP che compare in quanti sono sottoposti a terapia di lungo termine. Ogni sforzo deve essere fatto per ricondurre i pazienti con basso grado di esofagite a un calo progressivo della terapia con IPP per gestire l’eventuale sintomatologia con antiacidi o molecole non assorbibili. Il ruolo degli IPP, per la terapia di lungo termine, rimane nelle esofagiti più severe (ulcera, stenosi, esofago di Barrett).”
Maurizio Koch è Senior Director Unità di Gastroenterologia ed Epatologia dell’Ospedale S.Filippo Neri di Roma. È responsabile scientifico del portale Evidence Based Gastroenterology & Hepatology – Turning EBM into Medicine, EBGH.it.
Leggi la notizia: BAL, Evidenze in Gastroenterologia ed Epatologia… ci vuole un club, 21/03/2016.
Fonte:
Patti MG. An Evidence-Based Approach to the Treatment of Gastroesophageal Reflux Disease. JAMA Surg 2016;151(1):73-78. doi:10.1001/jamasurg.2015.4233.
Qui le revisioni Cochrane sulla MRGE.
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