Dopo l’Introduzione affidata a Marina Davoli, comincia il giro di tavolo Angela Adduce, dirigente generale della Ragioneria Generale dello Stato, ma soprattutto coordinatrice del Tavolo di monitoraggio dei piani di rientro regionali di spesa sanitaria, che qualcuno si ostina a chiamare, non così impropriamente, “Tavolo Adduce”. Adduce è il personaggio chiave dell’operazione di salvataggio della sanità regionale italiana e nel suo intervento evidenzia i risultati di efficientamento ottenuti in questi anni, soprattutto considerando il punto di partenza. La sanità regionale si trovava in una situazione di profondo squilibrio, in particolare in alcune Regioni, uno squilibrio provocato in particolare da una serie di rinnovi contrattuali “generosi” e da una spesa farmaceutica fuori controllo. I piani regionali di rientro, con il contributo da parte di tutti i cittadini e le imprese, hanno rappresentato la traccia di un percorso verso la sostenibilità del sistema. En passant, Adduce sottolinea come l’eccesso di spesa non abbia generato in passato livelli di assistenza migliori, anzi, e che nel caso del tavolo di monitoraggio il risultato finanziario in effetti ha anticipato quello assistenziale. All’interno di questa visione ottimistica, per cui l’efficienza è un obiettivo comunque raggiungibile, la dirigente generale del MEF ribadisce l’importanza del governo centrale auspicando una forte regia nazionale.
Alessio D’Amato, assessore alla Sanità della Regione Lazio, ripercorre rapidamente la genesi del servizio sanitario nazionale di cui quest’anno ricorrono i quarant’anni dalla nascita. Ideato in un periodo di crisi e di grandi riforme, rappresentò la risposta solidale e unitaria dell’intero paese alle spinte centripete di quella fase storica. E da allora il SSN si è evoluto e costituisce il fiore all’occhiello dello stato sociale italiano. L’italia è il paese che spende di meno in sanità rispetto al PIL eppure, dati alla mano, offre uno dei servizi sanitari migliori. D’Amato si sofferma ovviamente sul caso della Regione Lazio, una di quelle con il maggiore squilibrio iniziale, per la quale però il servizio sanitario ha rappresentato anche una leva per uscire dalla crisi economica generale. Ora però c’è da riconsiderare la politica di assunzioni, prosegue D’Amato – perché il personale ha un’età media molto elevata ed è necessario immettere nuova linfa negli ospedali – e da ripensare la spesa farmaceutica (gli italiani ricorrono poco ai farmaci equivalenti).
Anche per Federico Spandonaro l’operazione di rientro dal deficit è stata uno sforzo necessario. Dopo decenni, finalmente si è tornato a parlare di sanità in Italia senza partire dal tema del risanamento. Il libro di Geddes “La salute sostenibile” in questo senso è un ottimo punto di partenza. Spandonaro imposta il suo intervento sul SSN proprio seguendo la traccia del libro, distaccandosi da alcune tesi ma condividendo quella di fondo: il SSN italiano ha sempre speso poco, quindi il problema della sostenibilità non esiste. L’argomento dell’invecchiamento della popolazione è un’obiezione debole perché prevenzione e innovazione organizzativa sono in grado di fare fronte all’emergenza. Sul secondo pilastro (cioè l’affiancamento della sanità privata a quella pubblica), ha pochi dubbi: non ci sono margini per una posizione contraria di fronte a un fenomeno che esiste già nei fatti. Resta soltanto da creare una governance efficace, necessaria per evitare i rischi di ogni mercato senza regole.
La domanda che bisognerebbe porsi è piuttosto: il livello di welfare che abbiamo in casa è quello che vogliamo? Tra i problemi in cerca di soluzioni c’è di sicuro la spaccatura socio-economica tra nord e sud che corrisponde anche a una spaccatura politica. Di fatto in Italia si realizza un eccesso di solidarietà nel welfare provocato dall’iniquità fiscale, risolvibile agendo proprio su quell’iniquità. Infine Spandonaro accenna alla questione del personale, già toccata negli altri interventi. Dalla “pletora” si è passati alla “mancanza” e il livello delle retribuzioni è diventato negli ultimi anni troppo basso per garantire che il servizio si mantenga su standard ottimali.
Il leitmotiv dell’intervento Marco Geddes da Filicaia è che il problema fondamentale del disinvestimento nel SSN è la sua insostenibilità sociale. Le cifre di previsione del DEF della spesa sanitaria sono assolutamente ragionevoli e non sarebbe socialmente accettabile che le scelte di politica economica le mettessero ulteriormente in discussione. Riguardo al secondo pilastro, Geddes si sofferma sul welfare aziendale, sottolineandone l’importanza teorica ma anche i limiti nelle applicazioni pratiche (“buoni benzina e trattamenti di bellezza”), considerando che la defiscalizzazione lo rende un welfare a partecipazione statale. Dopo l’ennesima stigmatizzazione dei ticket sanitari, paragonati a una tassa sulla salute, l’autore di “La salute sostenibile”, in risposta agli interventi precedenti, sostiene convintamente che per impedire l’esplosione dei costi la via maestra è lavorare sull’appropriatezza, anche in virtù del fatto che la crescita della spesa futura è inevitabile.
Nella coda “domande e risposte” c’è ancora tempo per una rivalutazione del SSN attuale rispetto a quello del 1978 e un richiamo a superare l’assunto “aziendalizzazione = male” in favore del potenziamento delle professionalità (Angelo Tanese, ASL Roma 1 ), per richiamare ad una manutenzione attiva dei LEA (Angela Adduce), per esaltare il ruolo dell’innovazione organizzativa (Marina Davoli), per un invito a superare l’antagonismo tra cittadino e sistema, governando la domanda e rinunciando all’ossessione dell’offerta (Federico Spandonaro), per sottolineare la necessità di investire di nuovo nelle risorse umane (Alessio D’Amato).